Sulla soglia
Ricercando un nucleo caldo definitorio della poetica di Loredana Amenta, la metafora cardinale onnicomprensiva della sua nuova lucente collezione di incisioni può essere additata nella finestra, ovvero nel luogo liminare di interscambio tra il dentro e il fuori, allusivo della situazione esistenziale e immaginativa, fisica e ideale dell’attraversamento. I luoghi cari, il cui richiamo è divenuto magnetico con la dialettica dell’allontanamento e del ritorno, della fuga e del nóstos, dopo la formazione fiorentina al Bisonte, trovano riverbero in una sintetica, fine visitazione dell’artista. Scicli, Ragusa, Modica, l’area cittadina e naturale dell’universo della propria infanzia e del consapevole volontario rimpatrio, sono colte in una monumentalità accarezzata da asciutto lirismo, trovando espressione – ed è quanto preme marcare – in una maestria delle tecniche incisorie, alle quali Loredana Amenta accede con sicurezza e sensibilità, scommettendo sulla padronanza artigianale, come sulla verità d’ispirazione. Persegue la via del fare con precisione Loredana Amenta, che apre l’accesso al suo atelier con la finestra che dà titolo alla mostra, Attraverso, realizzata come puntasecca su plex retouché foglia oro zecchino, opera emblematica di un varco verso l’esterno paesaggistico e verso una sacrale sospensione rispetto ad esso, medium lo schermo dell’oro. Guardando ad alcuni dei più significativi lavori oggi in mostra, vediamo come dalla penombra di un notturno d’interno, ritagliato dal profilo gotico dorato di una apertura, si ergano le mille e una notte del colle di San Matteo sovrastante Scicli, coi suoi blu stellati, poeticamente risolto nella definizione metaforica di Brusio dell’impossibile, e concretamente condotto come monotipo retouché foglia oro zecchino, lavorato su una lastra dipingendovi in negativo, poi stampandolo sulla carta, pressandolo col torchio calcografico. Ricercano luce i neri della Promessa alla luna, visione neoromantica dell’amato Torrente Aleardi, percorsa da un quid di onirico, nella sospensione della figura calata in una prospettiva impossibile, tecnicamente creata come mezzotinto, ovvero maniera nera, su matrice di rame, modalità che asseconda l’emergere di tracce segniche luministiche dal fondo bruno. Al Castello di Donnafugata l’artista dedica un dittico, Sommesso rumore, in cui lo storico maniero ibleo si fa silente monocromo (cera molle e acquaforte su matrice di zinco) o colorato richiamo (cera molle, acquaforte e acquatinta su matrice di zinco), ulteriore soglia dell’esternointerno, ulteriore interpretazione della finestra come sito fisico e ideale del richiamo all’attraversamento, con lo spostamento ‘semantico’ dell’annullamento di vetri e struttura nella finestra del monocromo, come significante di invito all’ingresso, d’altra parte, e della loro reintegrazione, nella versione in quadricromia, che comporta un laborioso passaggio di scomposizione delle lastre incise ad acquatinta in acido, in tempi diversi, e che ottiene da un lato cromatici effetti riconducibili alle vetrate gotiche, dall’altro un’eco del pixel (come ingrandito da lente) che, linguisticamente, è polo altro rispetto alla tecnica calcografica. Il disinvolto possesso che Loredana Amenta rivela del mondo antico dell’incisione – le cui radici risalgono al settimo secolo a. C., nelle culture egizia e cinese, e la cui pregnante eleganza ha incantato i geni creativi della grande tradizione –, è quindi evidente nella Ibla dei Particolari oziosi, lavoro bipartito, sulla matrice di zinco, in una decisa acquaforte e in una cera molle, tendente allo sfumato di matita. Sono innumerevoli le fascinazioni del mondo di Loredana Amenta, come la Fornace Penna consegnata nei frammenti di una anticata quadreria. Ma è l’omaggio a Piero Guccione l’acme lirica ed estetica della silloge, scarna la stanza dello spirito con la sedia che è presenza-assenza, graffiato il segno ora incisivo, ora lieve, a terra l’ibiscus che, lo ha voluto così il maestro caro, è bellezza struggente che muore. Elisa Mandarà